Non esse consuetudinem Pupuli Romani

<[40, 1] Mittuntur ad Caesarem confestim ab Cicerone litterae magnis propositis praemiis, si pertulissent: obsessis omnibus viis missi intercipiuntur. [2] Noctu ex materia, quam munitionis causa comportaverant, turres admodum CXX excitantur incredibili celeritate; quae deesse operi videbantur, perficiuntur. [3] Hostes postero die multo maioribus coactis copiis castra oppugnant, fossam complent. Eadem ratione, qua pridie, ab nostris resistitur. [4] Hoc idem reliquis deinceps fit diebus. [5] Nulla pars nocturni temporis ad laborem intermittitur; non aegris, non vulneratis facultas quietis datur. [6] Quaecumque ad proximi diei oppugnationem opus sunt noctu comparantur; multae praeustae sudes, magnus muralium pilorum numerus instituitur; turres contabulantur, pinnae loricaeque ex cratibus attexuntur. [7] Ipse Cicero, cum tenuissima valetudine esset, ne nocturnum quidem sibi tempus ad quietem relinquebat, ut ultro militum concursu ac vocibus sibi parcere cogeretur.

[41, 1] Tunc duces principesque Nerviorum qui aliquem sermonis aditum causamque amicitiae cum Cicerone habebant colloqui sese velle dicunt. [2] Facta potestate eadem quae Ambiorix cum Titurio egerat commemorant: omnem esse in armis Galliam; [3] Germanos Rhenum transisse; Caesaris reliquorumque hiberna oppugnari. [4] Addunt etiam de Sabini morte: Ambiorigem ostentant fidei faciendae causa. [5] Errare eos dicunt, si quidquam ab his praesidi sperent, qui suis rebus diffidant; sese tamen hoc esse in Ciceronem populumque Romanum animo, ut nihil nisi hiberna recusent atque hanc inveterascere consuetudinem nolint: [6] licere illis incolumibus per se ex hibernis discedere et quascumque in partes velint sine metu proficisci. [7] Cicero ad haec unum modo respondit: non esse consuetudinem populi Romani accipere ab hoste armato condicionem: [8] si ab armis discedere velint, se adiutore utantur legatosque ad Caesarem mittant; sperare pro eius iustitia, quae petierint, impetraturos.>


<[40, 1] Cicerone [Quinto Tullio Cicerone (102 - 43 aev), subordinato di Cesare, fratello del più famoso Marco Tullio Cicerone, n.d.r.] mandò subito una lettera a Cesare, promettendo grandi premi a chi l'avesse portata; quelli che si assunsero l'incarico vennero presi, perché tutte le vie erano bloccate. [2] Durante la notte con tutto il materiale portato per le fortificazionei, innalzarono con incredibile celerità almeno centoventi torri; si completò tutto ciò che sembrava mancare alla difersa. [3] Il giorno dopo i nemici [galli n.d.r.] con forze molto maggiori diedero l'assalto all'accampamento riempiendo il fossato, ma i nostri resistettero allo stesso modo del giorno prima. [4] Così pure avvenne nei giorni seguenti. [5] In nessun momento della notte s'interrompeva il lavoro; non si concedeva un attimo di tregue neppure agli ammalati, neppure ai feriti. [6] Si preparava di notte la difesa del giorno seguente; si facevano molte pertiche appuntite con il fuoco, moltissime aste pesanti da lancio; si coprivano le torri con assi, si costruivano merli e parapetti con graticci. [7] Anche Cicerone, pur essendo di salute cagionevole, non si concedeva un minuto di riposo neppure di notte, tanto che i soldati accorrendo spontaneamente, a forza e con preghiere, lo costringevano a riguardarsi un poco.
[41, 1] In seguito a questa resistenza i capi dei Nervi che avevano qualche dimestichezza e rapporto d'amicizia con Cicerone, gli fanno sapere che volevano un colloquio con lui. [2] L'ottengono e ripetono ciò che Ambiorige aveva detto a Titurio: tutta la Gallia era in armi; i Germani avevano passato il reno; [3] gli accampamenti di Cesare e dei suoi luogotenenti erano assediati. [4] Aggiungono che Sabino era morto; per dimostrarlogli portano Ambiorige [che prima assediava Sabino n.d.r.]. [5] Afferma che era un errore pensare ad un aiuto da altri Romani, che ormai non conveniva stare da quella parte; tuttavia la loro disposizione d'animo verso Cicerone e il popolo era di non farli svernare per evitare che questa abitudine mettesse radici; [6] essi potevano andarsene dagli accampamenti invernali incolumi, e partire ovunque volessero senza timore. [7] Cicerone rispose con queste sole parole: 

-il Popolo Romano non è solito farsi dettare condizioni dai nemici in armi-

[8] se volevano cessare le ostilità, contassero pure sul suo aniuto, e mandassero messi a Cesare; potevano sperare dato il suo sentimento di giustizia, che avrebbero ottenuto ciò che chiedevano.>

 

Giulio Cesare, Commentarium Belli Gallici, V, 40-41

 

 

Emanuele Viotti

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Commenti: 1
  • #1

    Loris (lunedì, 01 febbraio 2016 20:45)

    mi piace. questo è come dovrebe fare il popolo di Italia.