Nei libri dei pontefici gli alberi erano divisi in due gruppi: arbores felices e arbores infelices.
La felicitas è stata interpretata semplicemente come l’essere portatori di frutto (seguendo Plinio, vedi oltre), fecondi [Serv. Georg. I, 154], tuttavia, se consideriamo che felix poteva essere anche un condottiero vittorioso e che non tutti gli arbores felices sono piante che danno frutti, capiamo che questa accezione è limitativa.
Il significato migliore che possiamo dare a questo termine è “essere di buon augurio”, “essere sotto la protezione degli Dei Celesti”, per questo motivo gli arbores felices erano usati nei normali riti religiosi [Plin. Nat. Hist. XVI, 45, 108], in particolare il loro legno veniva impiegato per accendere (per sfregamento) il fuoco sacro di Vesta all’inizio dell’anno religioso, così come i fuochi delle singole abitazioni; sappiamo anche che il flamen dialis doveva far seppellire i propri capelli e unghie tagliati sotto un albero di questo tipo. L’essere fecondi è quindi una conseguenza, un segno della benevolenza che è loro accordata dagli Dei.
Gli arbores infelices erano invece sacri agli Dei Inferi, quindi infecondi e considerati di cattivo augurio, per questo era vietato il loro uso nei normali riti religiosi, tuttavia potevano essere usati nei riti purificatori o espiatori [Macr. Sat. II, 16, 2], per allontanare le sventure [Lucan. Phars. I, 590; Cic. Pro Mil. XIII, 33].
<[...] infelices erano ritenuti e dannati da un divieto religioso (damnataeque religione)[...]>
[Plin. Nat. Hist. XVI, 45, 108]
Arbores felices: gli alberi che danno frutto, crescono da semi (e sono coltivati) [Plin. Nat. Hist. XVI, 45, 108; XXIV, 68; Fest. 92]; tra loro troviamo [Veran. Fr. 5 H apud Macr. Sat. III, 20, 2; Serv. Aen. IV, 137; Serv. Aen. II, 249; Symm. Ep. X, 15]
- quercia [Gel. V, 6, 12; Serv. Aen. VI, 772; Verg. Ecl. IV, 30; Ov. Met. I, 112]
- quercia da sughero
- leccio
- farnia (ischio)
- faggio
- nocciolo
- sorbo
- fico bianco
- pero (coltivato)
- melo (coltivato)
- vite, in particolare la vite bianca che si credeva non potesse essere colpita dai fulmini [Col. X, 346 – 47]
- loto (italico)
- alloro
- ulivo
-
verbena [Plin. Nat. Hist. XXV, 59; Serv. Aen. XII, 120; Isid. Orig. XVII, 9, 55] Era coltivata in un
luogo sacro sul Campidoglio, da cui,
in caso di necessità, le piante erano estirpate con radici e terriccio e
portate dai verbenarii [Plin. Nat. Hist. XXII, 3, 5] che accompagnavano i feziali quando si recavano in terra straniera, come simbolo della terra di Roma e segno di consacrazione [Liv. I, 24, 6; XXX, 43, 3; Naev. Bel. Pun. Fr 35 B apud Fest. 320]. In particolare il pater patratus era nominato da un feziale che lo toccava sul capo con una verbena [Liv. I, 24, 4]. Secondo Servio invece i feziali erano coronati con corone di verbena [Serv. Aen. XII, 120] che erano il simbolo della loro inviolabilità [Dig. I, 8, 8]. Per questo Varrone [Var. apud Non. 528, 16] la paragona al caduceo come simbolo di pace e Marciano alla cerycia degli ambasciatori greci [Dig. Cit.]. Questi elementi evidenziano la sua stretta relazione con Giove, in particolare nella sua qualità di custode dei patti. Da Simmaco abbiamo notizia che fosse coltivata nel lucus Streniae già all’epoca di Tito Tazio [Symm. Ep. X, 15]. Era usata Nelle purificazioni, nei rituali di lustrazione e nelle cerimonie sacre e quando erano necessari rimedi (probabilmente intesi come πηαρμαχον) contro le epidemie [Plin. Nat. Hist. XXII, 3, 5].
-
timo, erba sabina (juniperus sabina) [Ov. Fast. I, 337 – 338]: di quest’erba Plinio dice che vi sono due tipi, uno con foglie simile alla tamerice e l’altro al cipresso e che era usata per fare fumigazioni invece dell’incenso [Plin. Nat. Hist. XXIV, 61, 102].
-
corbezzolo e biancospino (con cui si preparavano torce portate durante le cerimonie nuziali [Fest. 245]), sacro a Janus, citati nei riti apotropaici compiuti da Carna [Ov. Fast. VI, 155; 166].
-
corniolo [Plin. Nat. Hist. XVI, 42, 103 segg; Verg. Georg. II, 448; Col. V, 7, 1], dal legno rossastro, usato in particolare per fabbricare lance [Plin. Nat. Hist. XVI, 73, 186; Liv. I, 56, 9; Verg. Aen. V, 557; IX, 698; Ov. Met. VIII, 408; Sil. It. IV, 552; X, 122; Stat. Theb. VII, 647]: di questo legno era la lancia scagliata dai feziali nel territorio nemico, al momento della dichiarazione di guerra [Liv. I, 32, 12 – 14; Cas. Dio. LXXI, 33, 3; Amm. Marc. XIX, 2, 6] [*2]; la tradizione voleva che Romolo, prima di fondare Roma sul Palatino, avesse scagliato, dall’Aventino, una lancia di corniolo verso il colle prescelto, dal suo legno nacque un albero di corniolo che sopravvisse fino al regno di Caligola [Serv. Aen. III, 46; Ov. Met. XV, 560 segg; Plut. Rom. XX]. Un bosco di cornioli, corneta, cresceva vicino alla Sacra Via [Var. L. L. V, 146; 152].
-
pino, considerato un albero da frutto [Col. VII, 9, 6] e consacrato alla Madre degli Dei [Verg. Ecl. VII, 24; Serv. ad loc.; Aen. II, 16], a Faunus [Mart. X, 92, 4; Calp. Sic. I, 9] e Silvanus [*3] [CIL VIII, 27764], il cui legno resinoso era usato per preparare torce da usare nei riti sacri, in particolare quelli nuziali [Masur. Sab. Apud Plin. Nat. Hist. XVI, 30, 75]
-
pioppo (bianco), sacro a Ercole [Verg. Aen. VIII, 276; Ecl. VII, 61; Georg. II, 66], secondo Servio e Macrobio il suo impiego precedeva quello delle corone d’alloro durante le celebrazioni all’Ara Maxima, poichè risaliva fino ad Evandro [Macr. Sat. III, 12; Serv. Aen. VIII, 286]; tuttavia il pioppo nero aveva un significato funerario [Plin. Nat. Hist. XXXV, 46, 159]
-
acero [Ov. Fast. III, 359] simbolo della dignità regale, per questo Evandro offre a Enea un sedile di questo legno per presiedere ai riti dell’Ara Maxima [Verg. Aen. VI, 176 - 178
Arbores infelices: gli alberi che non danno frutto e non crescono da semi, o hanno frutti neri (sono selvatici); tra loro troviamo [Tarquit. Fr. 6 Th apud Macr. Sat. III, 20, 3].
-
linterno [cfr. Plin. Nat. Hist. XVI, 45, 108]
-
canna sanguinea [cfr. Plin. Nat. Hist. XXIV, 43, 73]
-
felce
-
fico nero
-
agrifoglio
Note:
[* Titolo] G. Guillaume-Coirier - Arbres et herbe. Croyances et usages rattachés aux origines de Rome. In: Mélanges de l'Ecole française de Rome. Antiquité T. 104, N°1. 1992. pp. 339-371. Les couronnes militaires végétales à Rome. Vestiges indoeuropéens et croyances archaïques. In: Revue de l'histoire des religions, tome 210 n°4, 1993. pp. 387-411.
[*2] J. Bayet - Le rite du fécial et le cornouiller magique. In: Mélanges d'archéologie et d'histoire T. 52, 1935. pgg 29 – 76
[*3] P. F. Dorcey – The cult of Silvanus, Leiden, New York 1992 pg 17
Maurizio Gallina
Scrivi commento