<[45] Honestum igitur id intellegimus, quod tale est, ut detracta omni utilitate sine ullis praemiis fructibusve per se ipsum possit iure laudari. quod quale sit, non tam definitione, qua sum usus,
intellegi potest, quamquam aliquantum potest, quam communi omnium iudicio et optimi cuiusque studiis atque factis, qui permulta ob eam unam causam faciunt, quia decet, quia rectum, quia honestum est, etsi nullum consecuturum emolumentum vident. homines enim, etsi aliis multis, tamen hoc uno plurimum a bestiis differunt, quod rationem habent a natura datam mentemque acrem et vigentem celerrimeque multa simul agitantem et, ut ita dicam, sagacem, quae et causas rerum et consecutiones videat et similitudines transferat et disiuncta coniungat et cum praesentibus futura copulet omnemque complectatur vitae consequentis statum. eademque ratio fecit hominem hominum adpetentem cumque iis natura et sermone et usu congruentem, ut profectus a caritate domesticorum ac suorum serpat longius et se implicet primum civium, deinde omnium mortalium societate atque, ut ad Archytam scripsit Plato, non sibi se soli natum meminerit, sed patriae, sed suis, ut perexigua pars ipsi relinquatur.
[46] et quoniam eadem natura cupiditatem ingenuit homini veri videndi, quod facillime apparet, cum vacui curis etiam quid in caelo fiat scire avemus, his initiis inducti omnia vera diligimus, id est fidelia, simplicia, constantia, tum vana, falsa, fallentia odimus, ut fraudem, periurium, malitiam, iniuriam. eadem ratio habet in se quiddam amplum atque magnificum, ad imperandum magis quam ad parendum accommodatum, omnia humana non tolerabilia solum, sed etiam levia ducens, altum quiddam et excelsum, nihil timens, nemini cedens, semper invictum.
[47] atque his tribus generibus honestorum notatis quartum sequitur et in eadem pulchritudine et aptum ex illis tribus, in quo inest ordo et moderatio. cuius similitudine perspecta in formarum specie ac dignitate transitum est ad honestatem dictorum atque factorum. nam ex his tribus laudibus, quas ante dixi, et temeritatem reformidat et non audet cuiquam aut dicto protervo aut facto nocere vereturque quicquam aut facere aut eloqui, quod parum virile videatur.>
<[45] Noi intendiamo per "onesto" ciò che è tale da poter essere giustamente lodato di per sé, indipendentemente da ogni utilità, senza alcun premio o guadagno. Quale esso sia si può comprendere non tanto dalla definizione che ne ho dato, per quanto fino ad un certo punto sia possibile, quanto piuttosto dal comune giudizio universale e dell'attività spirituale e materiale degli uomini migliori, i quali compiono moltissime azioni per questo solo motivo, perché è decoroso, perché è retto, perché è onesto far così, anche se vedono che non ne seguirà alcun vantaggio. Gli uomini infatti, oltre che per le molte altre doti, specialmente per questa sola differiscono dagli animali: hanno la ragione, ad essi concessa da Natura, e una mente acuta e viva, capace di considerare contemporaneamente molte cose con la massima rapidità e, per così dire, sagace, tanto da vedere le cause e le conseguenze delle cose, rilevarne con il confronto le rassomiglianze, procedere alla congiunzione di ciò che è separato, unire al presente il futuro e abbracciare ogni situazione ulteriore nella vita. La medesima ragione fece dell'uomo un animale socievole in armonia con i suoi simili per indole, linguaggio ed esigenze pratiche; cosicché, partito dall'affetto per la sia casa ed i suoi cari, se ne allontana insensibilmente e si lega con vincoli sociali prima ai suoi concittadini, poi a tutti i mortali e, come scrisse Platone in una lettera ad Archita, ricorda di non essere nato solo per se stesso, ma per la patria, per i suoi, tanto che una minima parte resta a lui stesso.
[46] La medesima Natura ingegnò nell'uomo il desiderio di vedere il Vero, che appare con la massima facilità quando liberi dalle preoccupazioni bramiamo sapere anche cosa avvenga in cielo; quindi, seguendo gli impulsi fondamentali, animiamo tutto ciò che è vero, vale a dire leale, semplice, costante, e odiamo ciò che è vano, falso, ingannevole, come la frode, lo spergiuro, la malignità, l'ingiustizia. La medesima ragione ha in sé un qualcosa di grandioso e di magnifico, idoneo a comandare più che a obbedire, uso a stimare tutti i casi umani non solo tollerabili ma anche di poco conto, un qualche cosa di elevato ed eccelso, che nulla teme, a nessuno cede ed è sempre invitto.
[47] E a queste tre specie di onesto ora indicate ne segue una quarta, dotata della stessa bellezza e collegata a quelle tre, che comprende l'ordine e la moderazione*. Avendo notato una somiglianza con quest'ultima nell'aspetto e nello splendore del mondo esterno, si passò all'onestà delle parole e delle azioni. Infatti in séguito ai tre meriti** che ho detto prima, essa teme l'avventatezza e non osa nuocere ad alcuno con parola od azioni insolente ed ha ritegno a fare o dire alcunché che sembri poco degno di un uomo.>
Cicerone, De Finibus Bonorum et Malorum II, 14, 45-47
*Si riferisce alla Temperanza come quarta virtù insieme alle altre precedenti (Giustizia, Sapienza e Fortezza)
**Poiché per effetto della Sapienza si evitano azioni avventate; per effetto della Giustizia non si nuoce ad alcuno; per effetto della Fortezza non si agisce in modo indegno; per analogia la Temperanza, riscontrata nelle forme del mondo esterno, si attua nell'ambito dell'umano.
Emanuele Viotti
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Kelle Kellems (lunedì, 23 gennaio 2017 01:58)
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