Torte e dolci nella Tradizione Romana II

Conclusione del già pubblicato Torte e Dolci nella Tradizione Romana I


Moretum: chiamato anche herbosus [Ov. Fast. IV, 366; Cato Agr. LIV] o moretarium [Ter. Phorm. II, 2, 4], era una preparazione a base di erbe di campo (verdi o secche [Col. R. R. XII, 57, 4]), formaggio, olio, che poteva contenere anche aglio [Donat. Ad Ter. Phorm. II, 2, 4] e aceto e costituiva uno dei cibi più comuni tra i contadini, poiché preparato con quello che gli orti offrivano nelle differenti stagioni; tuttavia ne troviamo anche versioni più elaborate con ingredienti pregiati ed esotici. 

Era offerto in libagione alla Magna Mater [Ov. Fast. IV, 366 – 72]. 

Abbiamo diverse ricette di questo preparato, la più semplice è trasmessa da un componimento in versi dal titolo Moretum, dell’Appendix Vergiliana, altre si trovano nel libro XII del De Re Rustica di Columella 

Preparazione (1): separare gli spicchi di 4 teste d’aglio e sbollentarli, pestarli in un mortaio (o frullare) con una buona quantità di formaggio stagionato, alcuni gambi di sedano, tagliati a pezzetti, qualche foglia di ruta (sostituibile con rucola che però è meno amara) e di coriandolo, fino ad ottenere una crema omogenea e consistente. Si aggiunge lentamente olio di oliva (3 / 4 cucchiai) e aceto (1 cucchiaio) e si continua ad amalgamare. Alla fine si foggia la crema a forma di palla [Ps. Verg. Mor. 88 – 118 in PLM I, 184 - 185] 

Preparazione (2): pestare in un mortaio del formaggio fresco e del formaggio stagionato, aggiungere santoreggia, menta fresca, ruta, foglie di coriandolo, sedano, porrum sectivum (o cipolline fresche), lattuga, rucola, timo e mentuccia fresca. Una volta ottenuto un composto omogeneo, si aggiungono aceto e pepe, quindi servitelo in un piatto e copritelo d’olio. Durante la lavorazione è possibile aggiungere anche noci ben pulite, oppure sesamo leggermente tostato [Col. R. R. XII, 57, 1 – 2]. 

Preparazione (3): pestare in un mortaio del formaggio gallico tagliato a pezzetti, o qualsiasi altro tipo di formaggio vi piaccia, aggiungere pinoli in abbondanza, o, se non ne avete, erbe di campo, nocciole, o mandorle pulite e tostate. Una volta ottenuto un composto omogeneo, aggiungete una piccola quanittà di aceto e pepe, quindi versatevi piano l’olio [Col. R. R. XII, 57, 3]. 

Preparazione (4): pestare in un mortaio 3 once di pepe bianco, o, in alternativa, di pepe nero, 3 once di seme di prezzemolo, mezza oncia di radice di laserpitium, che i Greci chiamano silphion e 1 sestante di formaggio; dopo aver passato su un setaccio il composto, aggiungete del miele e conservatelo in un’olla pulita. Quando si vorrà gustare questa preparazione, servitela diluita con aceto e garum. Per un’alternativa più economica, mescolare con miele 1 oncia di ligusticum, 1 sestante di uva essiccata al sole e privata dei semi e 1 quadrante di pepe bianco o nero; questa miscela può essere conservata [e utilizzata quando necessario]. Se invece volete un preparato più costoso, mescolate questo condimento con il precedente e conservatelo. Se non si dispone del laserpitium, cioè silphion, si dovrebbe aggiungere mezza oncia di miele [Col. R. R. XII, 57, 4 – 5 ]. 


Mustaceus: (o mustaceum) torta di farina, mosto di vino, formaggio e alloro consumata drante i matrimoni [Cato Agr. CXXI; Juv. VI, 203; Stat. Silv. I, 6, 19; Plin. Nat. Hist. XV, 39, 127; Cic. Att. V, 20, 4; Athen. 647c; Caper De Orthog. GL VII, 102; CIL VI, 33885.9 = ILS 7214.9]. Poteva essere preparato anche con vino melato anziché mosto e contenere sesamo [Athen. 647c]. Era anche un tipo di pane [Caper De Orthog. GL VII, 102] 

Preparazione: inumidire un modius di farina di siligo (grano tenero) col mosto, aggiungere anice, cumino, 2 libbre di lardo (strutto), 1 libbra di formaggio e la corteccia di un ramoscello di alloro. Dividete l’impasto dandogli la forma di torte e metterle sopra foglie di alloro, quindi cuocetele [Cato Agr. CXXI] 

Offa: questo termine era usato per indicare vari tipi di preparazioni modellati in forma di palla: ad esempio dolci di polpa di frutta bollita (in particolare fichi), oppure speziati, che erano consumati bagnati nel mosto o in vino dolce [Var. R. R. III, 16, 28; Plin. Nat. Hist. XII, 19, 35; XIV, 19, 108; Pers. V, 5]. In particolare polpetta in forma sferica fatta di farina e latte (anche puls [Verg. Aen. VI, 420; Fest. 242]) a cui erano aggiunti pezzi di carne delle vittime sacrificate (offa porcina): fegato o la parte terminale della schiena con la coda (offa poenita) e che erano consumate durante i riti sacri [AFA CCXVIII; CIL VI, 2109; VI, 37164Enn. Ann 526 V apud Plin. Nat. Hist. XVIII, 19, 84; Cic. Div. II, 35, 73; Plin. Nat. Hist. XIII, 19, 65; XXVII, 76; 101; Arnob. Adv. Nat. VII, 24, 2 – 3; 25, 6; Fest. 230; 242; Var. L. L. V, 110; R. R. III, 5, 4; Cato orat. apud Gel. XIII, 18, 1; 3; Plaut. Mil. Glor. 760; Isid. Orig. XX, 2, 26]. Indicava anche piccole palline di farina d’orzo impastata con acqua che venivano date da mangiare agli animali [Cic. Div. II, 35, 73; Col. VI, 2, 7; VIII, 7,3]. 


Pastillum: tipo di libum rotondo usato nei riti sacri [Fest. 250] oppure una piccola forma di pane [Var. apud Charis. De nom. (XIII), 42, 15; Fest. 222; Plin. Nat. Hist. XVIII, 26, 102], la cui preparazione era demandata alla corporazione dei pastillari [CIL VI, 9765 – 9766]. Esiste anche la forma pastillus che indicava dei preparati a forma di piccole losanghe a base di erbe medicinali, aromatiche, o frutta, usati come medicamenti [Plin. Nat. Hist. XIII, 22, 126; XX, 2, 3; XXII, 12, 29; Cels. V, 17, 2; V, 20], dolcificanti [Plin. Nat. Hist. XII, 27, 131; XXV, 12, 143; 13, 152], o per profumare l’alito [Hor. Sat. I, 2, 27; I, 4, 92; Mart. I, 88, 2] 

Preparazione (pastillum): mettere in infusione della crusca fine di triticus (grano) in mosto di uva bianca per tre giorni, quindi filtrarla ed essiccarla al sole. Il preparato così ottenuto viene impastato con acqua e lasciato fermentare, quindi vi si aggiunge un egual quantità di farina e si fanno piccole forme di pane [Plin. Nat. Hist. XVIII, 26, 102] 


Patina: un tipo di torta [Apic. IV, 2]. 


Phtois: libum di origine greca offerto durante i Ludi Saeculares assieme ai popana (vedi popanum), molto simile al libum romano [CIL VI, 32323; 32329] 

Preparazione: prendete del formaggio e lavoratelo [in un mortaio], quindi lasciatelo scolare su un setaccio di bronzo. Aggiungete del miele e una hemina (mezza pinta) di farina di grano, quindi lavorate la miscela [fino ad avere un composto omogeneo] [Athen. 647d] 


Placenta: dolce (a base di farina di farro [Isid. Orig. XX, 2, 17]) con miele e olio di forma rotonda con un rigonfiamento al centro [Polyb. VI, 25; Cato Agr. LXXVI; Hor. Sat. II, 8, 24; Juv. XI, 59; Mart. III, 77, 3; VI, 75, 1; IX, 91, 18; Petr. Satir. XXXV, 4; LX, 4 – 6]. Phinias in Ateneo la paragona al frutto della malva [apud Athen. 58d – e]. Era preparato dai placentarii [Paul. Sent. III, 6, 72] 


… liba, d’altra parte, sono placentae di farro, miele e olio, usate nei riti sacri… [Serv. Aen. VII, 109] 


Era tagliato a fette e così offerto agli Dei, ad esempio a Venere alle Kal. Mart. [Mart. IX, 90, 18], o consumato coperto di miele [Hor. Epist. I, 10, 11; Mart. V, 39, 3] 

Era molto apprezzata la placenta preparata secondo la ricetta dell’isola di Samo: placenta samia [Tert. Adv. Marc. III, 5] 

Preparazione: due libbre di farina di siligo (grano tenero) per la crosta, 4 libbre di farina e 2 libbre di alica (semola fine di farro) per le tracta. Disperdere la semola in acqua e, quando si sarà ammorbidita, trasferitela in una ciotola pulita, scolate bene e impastate con la mano. Quando l’impasto sarà omogeneo, incorporate lentamente le 4 libbre di farina. Dall’impasto ottenuto formate dei tracta e ponetele in una cesta ad asciugare. Una volta asciutti disponeteli in maniera uniforme: pulite ciascun tractum con un panno imbevuto d’olio e poi copriteli d’olio. Dopo averli modellati scaldate il focolare dove volete cuocerli e il coccio. Bagnate le 2 libbre di farina, impastatela e formate una crosta inferiore sottile. 

Fate macerare in acqua 14 libbre di formaggio di pecora dolce e abbastanza fresco, cambiando il liquido 3 volte. Prendetene una piccola quantità per volta e strizzatela con le mani, quando sarà ben drenata, mettetela in una ciotola pulita; quando tutto il formaggio sarà asciutto, impastatelo con le mani per renderlo omogeneo, quindi passatelo attraverso un setaccio per farina pulito. Aggiungete 4 libbre e mezza di miele pregiato e impastatelo col formaggio. 

Disponete la crosta su una tavola pulita di un piede di larghezza, sopra foglie di alloro oliate e formate la placenta come segue: formate un primo strato di tracta e copritelo con l’impasto di formaggio e miele, quindi aggiungete altri tracta uno alla volta, coprendo ogni strato con l’impasto finchè non sarà finito. Alla fine mettete uno strato di tracta da soli, ripiegate la crosta e preparate il focolare… quindi mettete dentro la placenta e copritela col coccio caldo, ammucchiate il carbone sopra e attorno. Controllate che cuocia lentamente e appropriatamente, scoprendo due o tre volte per controllare. Alla fine estraetela e cospargetela di miele. Si otterrà così una torta di mezzo modius [Cato Agr. LXXVI] 


Popanum: tipo di torta originaria della Grecia [Schol. ad Pers. VI, 74], dove era molto diffusa come offerta agli Dei. A Roma era probabilmente usata nel graeco ritu, in particolare durante i Ludi Saeculares quando era sacrificata ad Apollo, Diana e alle Ilithiae (in numero dispari) [CIL VI, 32323; 32329; Juv. VI, 541] 


Priapus siligineus: torta a forma di fallo [Mart. XIV, 70; Petr. Sat. LX, 4] 


Salsamina: focaccia composta da 4 tipi di farina [Arnob. Adv. Nat. VII, 24, 6]. 


Savillum: una specie di libum dolce [Cato Agr. LXXXIV] 

Preparazione: pestare in un mortaio 2 libbre e mezzo di formaggio [fino a quando sarà schiacciato omogeneamente] aggiungere mezza libbra di farina selibra, un quarto di libbra di miele e 1 uovo. Ingrassate con olio un piatto concavo di terracotta e versateci sopra l’impasto. Coprite con un coccio e cuocete. Badate che sia ben cotto al centro, dov’è più alto. A cottura terminata, coprite con miele e spolverate con semi di papavero, quindi rimettetelo nel piatto [coperto col coccio] a scaldare per poco tempo. Servite con scodelle e cucchiai [Cato Agr. LXXXIV] 


Scriblita: focaccia salata al formaggio simile alla placenta, ma senza miele [Cato Agr. LXXVIII; Petr. Satir. XXXV, 4; LXVI, 3; Mart. III, 17, 1; Plaut. Poen. Prol. 43; Athen. 647d; CGL III, 315, 73]. 


Spaerita: dolce preparato come la spira, ma di forma rotonda [Cato Agr. LXXXII] 

Preparazione: si prepara lo stesso impasto della placenta, si fanno delle palle di tracta, miele e formaggio grandi come un pugno e le si dispone una accanto all’altra sulla crosta, quindi ripiegare quest’ultima e cuocere come la placenta [Cato Agr. LXXXII] 


Spira: dolce preparato come la placenta, ma dall’aspetto che ricorda una corda [Cato Agr. LXXVII; Athen. 647d]. Se di piccole dimensioni era detto spirula [Arnob. Adv. Nat. II, 42, 1]. Il rito umbro annovera tra i dolci offerti in libagione il tenzitim [Tab. Eug. Ib, 6; VIb, 46], il cui nome è stato fatto derivare da *tenos-edio-m, dalla radice che ha dato in latino tenus (corda intrecciata), si sarebbe quindi trattato di una torta dalla forma ritorta come una corda 

Preparazione: usate gli ingredienti secondo le proporzioni impiegate per fare la placenta, secondo la grandezza, ma le si dà una forma diversa. Si mette un tractum sulla crosta e la si copre abbondantemente di miele, quindi si arrotola come se fosse una corda; si prosegue così con tutte le tracta. Alla fine si pongano sulla sfoglia esterna una per una fino a coprirla tutta. Fare tutto il resto come per la placenta e cuocerla allo stesso modo [Cato Agr. LXXVII] 


Struix et ferctum: struix dal verbo struo, impilare, mettere uno sopra l’altro. Torte decorate con piccole strisce di panis, gallette di farina e acqua (vedi oltre), ravvicinate, così da sembrare le dita di una mano; il termine compare sempre al plurale e sappiamo che le strues erano sempre offerte assieme al ferctum specialmente a Juppiter e nei riti espiatori [Fest. 85; 294; 310; Gel. X, 15, 14; Cato. Agr. CXXXIV; CXLI; Ov. Fast. I, 276; Var. L. L. VII, 118; Schol. Juv. I, 80; Donat. ad Ter. Phor. II, 2, 25; Pers. II, 48; Schol. ad loc.; AFA 135; 155; Isid. Orig. VI, 19, 24; CGL V, 628, 62]. L’etimologia del nome ferctum (o fertum) non è chiara, secondo gli autori antichi derva da fero [Schol. Pers. II, 48; Isid. Orig. VI, 19, 24] Questi liba erano portati solitamente da addetti chiamati struferctarii [Fest. 85; 294]. Secondo i linguisti moderni deriverebbe dalla radice indoeuropea *bher-g-, arrostire, ricollegabile al proto-indoeuropeo *bh-r-, bollire. Nella tradizione umbra troviamo la struhçla [Tab. Eug. IIa, 18; 28; IV, 4; III, 34; IIa, 41; IV, 1; Via, 59; VIb, 23; VIb, 5; VIIa, 8; 42; 54], da *struui-k-elā, diminutivo dallo stesso tema da cui deriva struix, che però compare al singolare e indicava un libum di grosse dimensioni, tale da poter essere tagliato a fette. A struhçla è occasionalmente aggiunto l’aggettivo petenata: secondo i linguisti tale termine si connette al latino pectinatus e indica una decorazione fatta con strisce di pasta affiancate, o piccoli solchi paralleli. 


Subitillus: o sibtillus, una torta al formaggio [CGL III, 316, 2; 372, 23; Athen. 647d], poteva essere fatto anche di semola di grano [Athen. 647d] 


Subucula: liba di alica (semola o farina di farro), olio e miele usati nei riti sacri [Fest. 309]. 


Suffimenta: venivano offerti agli Dei prima di pressare l’uva ed erano composti di fave e miglio macinati [Fest. 348]. 


Summanalia: focacce di farina a forma circolare, su cui è rappresentata una ruota con raggi, offerti a 

Summanus [Fest. 348 – 349]. Nella tradizione umbra troviamo l’urfeta [Tab. Eug. IIb, 23], il cui nome designa un oggetto di forma rotonda, benchè non sia certo che si tratti di una focaccia, è stata avvicinata alle kersnasias, torte sacrificali di forma rotonda su cui è impressa una ruota a tre raggi, rappresentate sulle iùvilas di Capua. L’urfeta era l’offerta specifica per Saçi Iuvepatre, assimilabile al Semo Sancus romano 


Testuacium: ai Matralia si offrivano a Mater Matuta dei liba gialli chiamati testuatium [Var. L. L. V, 106] perchè cotti in una sorta di contenitore chiuso di terracotta preriscaldato, testu caldo [Ov. Fast. VI, 475 - 476]. Forse simile all’erneum. 


Thrion: torta di origine greca [Var. L. L. V, 107] preparata con farina, latte, uova, formaggio, lardo, miele [Schol. Arist. Equ. 954] 


Turundam: un genere di libum di forma seferica [Var. apud Non. 552], anche pallina di farina impastata con cui erano nutrite le oche [Cato Agr. LXXXIX; Var. R. R. III, 9, 20]. 


Pultes 

Puls: in tempi antichi le offerte sacrificali non erano torte, bensì pultes, zuppe o polente di farro [Var. L. L. V, 105; Plin. Nat. Hist. XVIII, 19, 83; Val. Max. II, 5, 5; Juv. XIV, 170; Mart. V, 80, 9; XIII, 8, 2; Plaut. Most. 818; Poen. Prol. 54], tale usanza, si tramandò fino all’età imperiale, infatti ne abiamo ancora un esempio nel rituale degli Arvali, in cui si offriva una puls alla Mater Larum [AFA CCVIII; 26 – 27]. Anche nella cucina profana il consumo delle pultes durò dai tempi arcaici sino all’età imperiale: certamente molto diffuse in ambito rurale, anche un cuoco che serviva clienti raffinati come Apicio se ne interessò e dobbiamo a lui alcune ricette [Apic. V, 1, 1 – 4]. In origine erano preparate scaldando semola di farro [Plin. Nat. Hist. XVIII, 19, 83 – 84; Mart. XIII, 8, 1 – 2], miglio [Col. R. R. II, 9, 19; Cels. II, 30, 1; Plin. Nat. Hist. XVIII, 24, 100], o panico [Col. R. R. II, 9, 19; Cels. II, 30, 1] in acqua o latte [Col. R. R. II, 9, 19], ma si conoscono anche preparazioni a base di: alica [Cato Agr. LXXXV; Cels. II, 30, 1], fecola e pane. 

Preparazione (puls julianea): dopo averla pulita, mettere in infusione in acqua dell’alica (semola fine di farro) e portare all’ebollizione, quindi aggiungere olio di oliva e, quando la miscela si sarà addensata, mescolare finchè non si ottiene una crema liscia. Prendere due cervelli e cuocerli, quindi mescolarli a mezza libbra polpa di carne come per un ripieno. Cuocere tutto in una pentola. In un mortaio pestare: pepe, levistico, semi di finocchio, inumidire la polvere ottenuta con un po’ di vino ed aggiungerla alla carne, insaporire con una salsa al vino. Quando sarà ben cotta, mescolare alla crema e finire la cottura. Servire in un piatto sottile, dovrebbe avere la consistenza di una pasta [Apic. V, 1, 1] 

Preparazione (puls tractogalatea): mettere un sestarius di latte e un modius di acqua in una pentola di terracotta e portare all’ebollizione su fuoco lento, mescolando bene perché non bruci. Prendere tre pasticcini secchi e ridurli in pezzetti, aggiungerli al latte e all’acqua. Quando il tutto sarà cotto, aggiungere miele mentre è ancora sul fuoco. Una variante può essere preparata con latte e mosto, aggiungendo sale e poco olio [Apic. V, 1, 3] 


Adipata: puls forse contente lardo [Lucil. V, 196 M apud Charis. GL I pg 94, 19 K] 


Fitilla: forma dialettale per fictilla, dal verbo fingo, impastare, confezionare (da cui i fictores, gli artigiani addetti alla preparazione delle torte sacrificali), una polenta fatta di miglio (o farro), usata nei riti più antichi e in occasione del Dies Natalis [Arnob. Adv. Nat. II, 21, 3; VII, 24, 5; Plin. Nat. Hist. XVIII, 19, 84; Sen. Ben. I, 6, 3; Juv. Sat. XVI, 39]. Era considerata l’offerta più semplice dopo la farina di farro [Sen. Ben. I, 6, 3]. Nel rito eugubino troviamo menzionata molto spesso la fikla [Tab. Eug. IIa, 18; 29; 41; Via, 56; 59; VIb, 2; 4; 20; 23; 44; 46; VIIa, 4; 8; 42; 54] (che alcuni autori hanno però identificato col ferctum romano

), dalla radice *dhiĝh-tlā (lo stesso tema del latino fingo). Tale offerta non è mai da sola, ma è sempre accompagnata da altre, il che fa pensare che si trattasse qualcosa di accessorio, oppure troppo semplice per essere presentato da solo. 


Farratum: zuppa di farro [Juv. Sat. XI, 108] 


Forma: zuppa di miglio e miele [Fest. 83] 


Frumen: polenta di grano [Arnob. Adv. Nat. VII, 24, 5] 


Granea tritica: crema ottenuta da chicchi di grano bolliti in acqua e latte [Cato Agr. LXXXVI] 

Preparazione: versare mezza libbra di grano selibrus in una ciotola pulita, pulirlo bene e rimuovere l’involucro esterno, lavare i chicchi. Versarli in una pentola con acqua pura e portare ad ebollizione. Alla fine aggiungere lentamente il latte finchè non si ottiene una crema densa [Cato Agr. LXXXVI]. 


Polenta: zuppa fatta con farina d’orzo, forse di importazione greca [Plaut. Asin. 33; Curc. 295; Apul. Met. I, 4, 1; Achar. apud Plin. Nat. Hist. XIV, 15, 92]. I semi erano tostati prima di essere pestati, la polvere così ottenuta era spesso mescolata a farina di miglio e quindi fatta bollire in acqua [Cato Agr. CLVI – CLVII; Plin. Nat. Hist. XVIII, 14, 73 – 74; 18, 80; Pallad. VII, 12], ottenendo un composto liquido [Macr. Sat. VII, 15, 10; Ov. Met. V, 450; 454] 


Puls fabata (o fabacea) chiamata anche refriva [Fest. 277] polenta di farro e fave offerta a Carna e agli altri Dei alle Kal. Jun. [Var. apud Non. 341, 42; Ov. Fast. VI, 169 – 171; Macr. Sat. I, 12, 32; Plin. XVIII, 29, 118; Apic. V, 6] 

Preparazione: le fave vengono cotte con liquamen, olio d’oliva, coriandolo verde, cumino, e porro tritato [Apic. V, 6, 1]. 


Puls punica: pasta di farina e formaggio [Cato Agr. LXXXV] 

Preparazione: immergere 1 libbra di alica (semola fine di grano duro, o farina di farro) in acqua finchè non si sarà ammorbidita, quindi versarla in una ciotola pulita e aggiungere 3 libbre di formaggio fresco, mezza libbra di miele e 1 uovo. Mescolare bene e servire in un nuovo piatto [Cato Agr. LXXXV]. 


Panis 

Sotto la denominazione panis i romani includevano sia il pane propriamente detto, cioè ottenuto da farina fermentata con lievito, la cui introduzione fu piuttosto tarda, sia delle gallette o piadine fatte semplicemente di farina impastata con acqua. La preparazione di questi alimenti era affidata ai pistores, o agli schiavi che si occupavano di cucinare (cocus), in particolare alle donne [Fest. 58; Dig. XXXIII, 7, 12; Plin. Nat. Hist. XVIII, 27, 107]. 


Panis depsticius: era il preparato più semplice alla base dell’alimentazione nelle zone rurali [Cato Agr. LXXIV; Ps. Verg. Mor. 39 – 51 in PLM I, 181 - 182] 

Preparazione: si prende della farina, la si setaccia e la si pone in un mortaio, oppure la si stende su un piano ben pulito, si aggiungono acqua tiepida e sale e si impasta. L’impasto ottenuto viene insaporito con sale e diviso in porzioni di forma circolare, quindi cotto su pietre roventi [Cato Agr. LXXIV; Ps. Verg. Mor. 39 – 51 in PLM I, 181 – 182; cfr. Sen. Epist. XC, 23] 


Panis acerosus: fatto con semola di farro molto grezza e acqua [Fest. 158; Non. 445, 13; Lucil. Sat. XV apud Non. 445, 16]. 


Coliphia: cibo sostanzioso e poco costoso, assunto degli atleti; polpette a forma di membro virile [Juv. II, 53; Schol. Ad loc.; Mart. VII, 67, 12; Plaut. Pers. 93; Aglaopham. pg 1067]. 

Maurizio Gallina

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