<[10] Sed ut finem epistulae imponam, accipe quod mihi hodierno die placuit - et hoc quoque ex
alienis hortulis sumptum est: 'magnae divitiae sunt lege naturae composita paupertas.
Lex autem illa naturae scis quos nobis terminos statuat? Non esurire, non sitire, non algere. Ut famem sitimque depellas non est necesse superbis assidere liminibus nec supercilium grave et contumeliosam etiam humanitatem pati, non est necesse maria temptare nec sequi castra: parabile est quod natura desiderat et appositum. [11] Ad supervacua sudatur; illa sunt quae togam conterunt, quae nos senescere sub tentorio cogunt, quae in aliena litora impingunt: ad manum est quod sat est. Cui cum paupertate bene convenit dives est. Vale.>
<[10]Per concludere la lettera, eccoti il pensiero che mi è piaciuto oggi -e anche questo è colto dal giardino altrui- <E' una grande ricchezza la povertà regolata dalla Legge di
Natura>. Ma tu conosci quali limiti stabilisca per noi quella Legge? Non soffrire la fame, né la sete, né il freddo. Per vincere la fame e la sete non è necessario stare di guardia presso le
porte dei potenti, né sopportare una fastidiosa arroganza e una spezzante gentilezza, non è necessario sfidare i mari, né andare in guerra: ciò che la natura richiede è facile a procurarsi e già
a portata di mano. [11] Ci si affanna per cose superflue; queste ci logorano la toga, ci costringono a invecchiare sotto una tenda, ci sospingono in terre straniere: quanto ci basta è a portata
di mano. Chi si adatta bene alla povertà è ricco. Saluti>
Seneca, Lettere a Lucilio, 4,10-11
Emanuele Viotti
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