Rito Romano VI: scopi del rito e conseguenze

Non si può definire "semplice" la rituaria romana, essa comprende numerose conoscenze teoriche e pratiche che si vedono necessarie per poter eseguire un rito.
Questo gran numero di norme sono fortunatamente fatte salve da un nutrito numero di fonti, diversamente da quello che avviene per altre realtà pagane.
In questa serie di articoli sul Rito Romano cercheremo di dare delle indicazioni precise e puntuali (dove possibile) su come compiere un rito, in modo tale da dare a tutti la possibilità di farlo.
L'ordine per argomento seguirà lo stesso del rito vero e proprio.


 Prima di procedere con gli aspetti più pragmatici e di contenuto della rituaria romana, è importante fare alcune considerazioni su determinati meccanismi. Premettiamo che in questo articolo ci sarà scritto molto sulla base dell'esperienza maturata negli anni, della filosofia e poco di fonti. Ciò nonostante è un discorso che deve essere fatto.

Molto spesso nell'ambiente della spiritualità (pagana, esoterica, altro che sia) nessuno sa mai rispondere alla domanda: perché fai questo rito?
Poiché ogni cosa in questo Cosmo ha un "perché", ha un senso, anche il fare un rito il suo "perché" deve averlo. La rilevanza di questa domanda non è tanto una riflessione intellettualoide da salotto, bensì un elemento importante, cardine, del cuore (energia, o come preferite) che si mette in rito, e di conseguenza gli effetti stessi del rito.
Più ancora, poiché si vanno a muovere energie sottili che hanno effetti a medio-lungo termine sulla nostra vita (e quella degli altri!) è importantissimo che nulla sia lasciato al caso.

Primo mito da sfatare è che i riti non sono utili all'evoluzione spirituale. Il percorso di evoluzione spirituale può essere -volendo- totalmente staccato dalla venerazione per gli Dei.
Il principio di questo è che (crediate o meno all'immanenza degli Dei nella materia, o alla legge del microcosmo-macrocosmo) ciò che è dentro di noi è esclusivamente interno a noi, e le sole azioni realmente efficaci sono all'interno di ciò che è di nostra proprietà: noi.
Ciò che ci circonda, non è sotto il nostro dominio, e non possiamo controllarlo in modo efficace e definitivo.
Lo stesso agire esternamente in contrasto con la nostra natura interiore è un'apparenza, un'illusione.
Facendo un esempio semplicistico: se in noi siamo ladri, e ci tratteniamo dal rubare, saremo dei ladri repressi e non uomini onesti.
E' necessario mutare se stessi, non i propri gesti o ciò che è esterno da noi, ma ciò che è in noi.
Il rito è e resta comunque un'azione esterna a noi, e pertanto non può apportare dei mutamenti duraturi (vedramo infatti poi cosa accade).
Come si muta se stessi?
Ci sono numerosi percorsi di evoluzione spirituale che si possono intraprendere, dipendentemente o indipendentemente dalla pratica Romana (ovviamente essa deve avere quanto meno la stessa apertura mentale di rispetto verso gli altri percorsi, come era in Roma antica). 

La ricerca della propria via è personale, muta nel tempo, e lo scontrarsi con realtà più o meno positive è proprio parte di questo stesso percorso. Un po' come accadde ad Ulisse, o ad Enea. 
Inoltre che ruolo dovrebbe avere la divinità chiamata in causa in un rito per evolverci spiritualmente? E perché dovrebbe aiutare noi e non altri? Che forse uomini di chiara evoluzione spirituale nel mondo antico fossero necessariamente tutti assidui praticanti?
Certo non il tanto decantato Cesare che corrompeva gli Auguri, o non il pio Augusto cui ebbe la famiglia con il peggiore dei destini, e nemmeno il saggio Marco Aurelio che passò più tempo a bagnare la terra di sangue che non gli altari. E potremmo procedere oltre volando al di là dell'Italia, uno a caso tra questi certamente è Socrate.
Ed anche opinando su questi esempi, non c'è una dimostrazione pratica o teorica che dimostri come gli Dei possano intervenire per l'evoluzione spirituale di qualcuno.
E se bastassero i giusti riti, nel mondo antico sarebbero stati tutti illuminati, eppure anche là gente di bassa lega esisteva. Prendiamo d'esempio la -da alcuni decantata Età dell'Oro- epoca di Romolo, quanti traditori abbiamo avuto? E lo stesso Romolo tradì il patto di ospitalità (il ratto delle Sabine), quindi l'oscurità già esisteva, eppure quegli uomini riti ne facevano.

Ed ancora sogni e prodigi non sempre sono causati dagli Dei, e non sempre indicazioni ricevute in sogno hanno origine divina, ma forse nell'oscura epoca in cui viviamo sono soltanto frutto del nostro ego.
Quindi attenzione ai propri pensieri, si cerchi di rimanere sempre freddi e lucidi nella propria analisi sul percorso spirituale (o si finirà come le otto incarnazioni di Ottaviano, viventi contemporaneamente, che abbiamo avuto il "piacere" di conoscere), poiché i deliri dell'ego, alimentati illusoriamente -pensate il potere che può avere una volontà distorta dall'ego personale!- durante gli stessi riti fatti per elevarsi, portano ad alimentare larve e falsi io che alla fine sono distruttivi.
Volendo esprimere tutti questi concetti in modo più sintetico, e parafrasando, pensate agli effetti che si ottengono mescolando fuoco ed acqua, ovvero mescolando l'aspetto divino interno a noi, e quello emotivo.

Quindi a che servono i riti?
I riti hanno in fine uno scopo molto pratico, onorare gli Dei, e chiedergli un aiuto pratico attraverso un piano che non è quello materiale.
Si rompono i tubi di casa, offro a Fistulus e chiamo l'idraulico. Devo seminare il campo, offro a Marte (Catone) e poi semino. E' il periodo in cui gli antenati scontenti tornano ad infestare la mia casa, con tutte le conseguenze, li caccio con i rito descritto da Ovidio. Voglio maledire qualcuno, prendo una lamina di piombo e compio adeguato rito agli Dei Inferi (fonti archeologiche). 
Questo ed esempi simili sono tutto quanto ci sia rimasto della rituaria romana.
Qualcuno, ad essere totalmente onesti, sostiene che alcuni esempi narrativi nascondano dietro a se dei riti che hanno scopi per entrare in contatto e dialogare con le divinità.
Premesso che ciò è filosoficamente impossibile, poiché le divinità non sono concentrate in un luogo (fisico o metafisico che sia) e pertanto non le si può raggiungere per dialogarci. Al massimo si può raggiungere stati di coscienza tali per cui si raggiungono piani di percezione e comprensione più elevati, ma in ciò le divinità non centrano....magari fossimo tutti Numa Pompilio! Unico individuo -mitico- ad aver ricevuto precise indicazioni da un ninfa (quindi per altro non una divinità, ma un'entità più bassa) su cosa fare e come.

Appurato a cosa servono i riti, è chiaro in questo discorso che vi è una responsabilità nel farli.
Potenzialmente con una pratica rituale si può fare tanto del bene quanto del male.
Idealmente ogni volta che si prepara un rito, bisogna cercare di prevenire ogni possibile implicazione per cui non si vada a violare la libertà o creare danno a qualcun altro, poiché questo ci tornerà in equa misura.

Parimenti la divinità invocata a cui si chiede aiuto non sarà una divinità caotica, aggressiva, bensì una benigna.
Rammentiamo che gli Dei sono forze, perciò compiere un rito per attirare su di me (gergalmente rendersi propizio, accattivarsi, favorirsi) una divinità violenta della vendetta come Mars Ultor, non è la migliore delle strategie autoconservative. Diversamente cercherò di rendermi propizio Mars Pater, mentre indirizzerò Mars Ultor verso la persona su cui desidero vendetta. Prendo questo esempio proprio per ricordare che Ottaviano non chiese a Marte Vendicatore di essergli propizio, bensì gli fece voto di un tempio se avesse vendicato la morte di Cesare scaricandosi sui cesaricidi.
Allo stesso modo non ci si rende propizi i Mani, ma li si caccia via.
Esiste infatti questa "dicotomia" nel rapporto del romano con le divinità, alcune le attrae a se, mentre altre le scaccia in quanto inerenti un mondo, un ambito, che per se stesso non sono favorevoli.
Quindi uno studioso cercherà (poniamo un esempio) di accattivarsi Minerva, e diversamente di respingere Bacco, o non sarà in condizioni favorevoli allo studio. 
Ed in questo non c'è un gusto pregiudiziale, rifacendosi allo studioso egli non pensa che bere e stordirsi sia sbagliato a priori, bensì sa che se si stordisce non sarà in grado di procedere in uno studio.
Ancora una volta sorge un pragmatismo totale nel Culto Romano.

Dopo quanto tempo si ha l'efficace risultato pratico di un rito?
Chi può dirlo! 
Dipende dalla richiesta, dalla situazione generale, dalla correttezza del rito (e come abbiamo visto non solo in termini di gesti e parole dette).
Volendo fare una valutazione generica possiamo dire tre mesi, ma ribadiamo che può ampiamente variare dall'immediato a molti mesi.
Perché?
Perché il rito non compie un'azione pratica nell'immediato sulla materia, bensì lavora su di un piano metafisico, e la temporalità dei piani diversi dal nostro non sono coerenti. Gli Dei stessi per il fatto di essere eterni (o almeno una parte di essi, mentre altri sono immortali come è noto dai miti) debbono essere non soggetti al cambiamento, quindi immobili, ma in tal modo non hanno distinzione tra passato presente e futuro, poiché tutto è un eterno presente. Quindi non ci è dato comprendere totalmente quanto tempo è necessario prima che un rito abbia il suo effetto.

Nota da fare è che nel caso si compiano riti che necessitano una durata (es. riti di difesa, riti propiziatori) è necessario ripeterli per mantenerli "attivi". In un certo senso tutti i riti hanno un tempo di decadenza, ove vi è una scala ascendente nell'effetto che inizia con l'esecuzione del rito, raggiunge il picco massimo (nei tempi prima indicati) e poi inizia il decadimento. Motivo per cui è necessaria una ripetizione. Per questo vi sono tante feste nel calendario romano che sono ripetute ogni anno e che non hanno coerenza con momenti agricoli, astronomici o stagionali. Ed è lo stesso motivo per cui l'offerta al genio del bosco sacro tagliato da Catone per uso agricolo deve essere ripetuto ogni anno (si continua ad utilizzare il terreno di pertinenza di quel Genio), e così anche il rito dei Lemuria, etc. Le stesse offerte a Kal-Non-Idi rientrano in questa ripetitività.
Altri riti invece hanno pertinenza fino al raggiungimento dello scopo, come il voto fatto da Ottaviano contro i cesaricidi.

Per concludere ribadiamo di prestare particolare attenzione a perseverare un'etica nella pratica rituale, questo perché a partire dall'articolo "Rito Romano IX" inizieremo la pubblicazione dei riti delle fonti citate nei precedenti, con la spiegazione di come adattarli alle proprie necessità. Perciò non bisogna abusarne, ma nemmeno eccedere dal lato opposto, e così mai fare del male agli altri, soprattutto se fatto con desiderio di vendetta (la Dea Iustitia lavora già benissimo da sola, senza il nostro aiuto), ma bensì impedendo che ci sia fatto del male. In medium stat virtus.


Emanuele Viotti

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Commenti: 1
  • #1

    Marco Stella (mercoledì, 21 ottobre 2015 02:40)

    Chiarissimo come sempre. Complimenti!